I cannoni di Thor

Maggio. Anno del Signore 1514

Re Cristiano Secondo seguiva da lontano i movimenti delle truppe che stavano circondando Trelleborg. Il Conte Hel aveva fatto ricostruire l’antica fortezza circolare vichinga, come per simbolizzare il ritorno alla credenza agli antichi dei. Non fosse che un monarca cristiano di nome e di fatto tollerasse l’esistenza di pagani nel Regno di Danimarca!

Da mesi gli sgherri del conte avevano depredato e saccheggiato i villaggi dell’isola di Zelandia, terrorizzato i contadini minacciandoli in nome del nuovo paganesimo, deportando dentro il loro covo i giovani per costringerli alla conversione a un’obsoleta superstizione. Il muro circolare della fortezza era basso. Inespugnabile ai tempi dei barbari, non avrebbe resistito al fuoco delle moderne artiglierie.

Ma il conte aveva sparso la diceria che lui, la sua corte e il suo esercito vivessero sottoterra. Quel bubbone circolare altro non era che la cima di un formicaio scavato di recente, dove il Hel i suoi, più vicini all’Inferno, avrebbero indemoniato i contadini prigionieri trasformandoli in fanatici combattenti in nome di Odino, Thor e le altre mostruose divinità.

Il nome scelto dal nobile ribelle, Hel, divinità degli inferi norreni, svelava come in realtà quella banda fosse dedita al Demonio.
I cannoni della Fede avrebbero ridotto gli antichi muri barbari in macerie, non appena fossero stati piazzati a distanza di tiro. Gli esploratori avevano segnalato l’assenza di armigeri dietro le mura; i pagani preferivano starsene sottoterra, timorosi del cielo e delle forze cristiane che sarebbero scese là sotto a stanarli.

Qualcosa si mosse al di là delle mura vichinghe. Non uomini, bensì ordigni. Da sottoterra, quattro torri cilindriche, una per quadrante, si elevarono, sicuramente mosse da argani sotterranei. In cima a ogni torre era piazzata, orizzontale, una enorme ruota, a ogni raggio della quale era montato un cannone. Nonostante la distanza, il re riuscì a contarne venti per torre.

Un attimo dopo, l’Inferno uscì da sottoterra. Le ruote girarono e i cannoni spararono a raffica. I boati a mitraglia, sottofondo di una bordata di ottanta bombarde fece scempio degli assedianti.

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Luglio. Anno del Signore 1514.

Il conte Hel tolse o sguardo dall’iperscopio, commentando quello che vedeva in superficie ai suoi fedeli ufficiali.
«Re Cristiano ha chiamato in aiuto gli italiani, credendo che le loro macchine volanti siano onnipotenti. Guardate voi stessi come si aggirano, simili a vespe su un formicaio, da giorni. Le loro inutili bombe fanno il solletico alla solida muratura: fermati dalla loro stessa tecnologia.»

Hel si compiacque in silenzio della propria longimiranza. I cristiani spagnoli, anziché rubare le tecniche di Da Vinci, le maledivano, considerandole opere del Diavolo. Lui, al contrario, si era procurato quei disegni delle invenzioni di Leonardo che più servivano ai suoi piani, senza timori di un Dio falso e bugiardo.

Disdignava aeronavi e ornitotteri, artifizi celesti. Scavatrici e cannoni rotanti e iperscopi bastavano per la vittoria, non appena i convertiti fossero stati abbastanza per conquistare il Regno, in nome di Thor, dio del tuono.

Un nuovo sguardo nell’apparato ottico gli rivelò che gli italiani avevano cambiato tattica. Piramidi di tela con appesi armigeri si erano gettati dalle aeronavi. Toccata terra, i soldati della Serenissima, in armatura e armati di archibugi a mitraglia, si riversarono sulla porta. Inutile mossa: neppure un cannone poteva sfondare la barriera metallica spessa un braccio, la porta dell’Inferno.

Gli dei sono con noi, pensò, convinto. La fede muoveva i monti. Evocò tutto il pantheon norreno perché gli italiani si togliessero di torno.

Un attimo dopo, due donne vestite in antiche tuniche bianche apparvero all’iperscopio. Una brandiva un liuto, l’altra un flauto. Magia o miracolo divino! Gli strumenti sembravano suonare da soli una musica eterea. Dalle celate degli elmi dei catafratti uscirono fumo, fiamme e grida disperate. Un attimo dopo, caddero per terra rimanendo immobili.

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Hel parlò alla dee in italiano, la loro lingua.
«Benvenute a Trelleborg, divine Minerva e Diana!» esclamò Hel, seduto su un trono intarsiato con figure di miti norreni.

Minerva rispose: «Grazie per averci aperto le porte, conte Hel. Zeus non poteva permettere che l’Italia neopagana della Rinascenza aiutasse i fedeli al papa che ha scomunicato la Repubblica contro a chi crede al Pantheon Universale. La musica dell’Olimpo, composta da Hermes, li ha inceneriti e ora è al servizio dei vostri dei!»

«I cannoni di Thor e gli strumenti di Zeus sconfiggeranno gli infedeli!»
«Soprattutto quelli che adorano i Demoni!» esclamò Minerva sfoderando una daga nascosta nel manico del liuto. Diana puntò il flauto che terminava in più canne. Da queste uscirono raffiche che falciarono una decina di armigeri del conte. Hel si alzò dal trono, sfoderò la spada e ingaggiò un duello con la dea.

«Perché questa teomachia? Perché mi siete nemica, divina Minerva?»
«Chiamatemi pure Atena, conte dell’Averno! E nonostante non sia una dea, sono in grado di trafiggervi in nome della Serenissima, che rivuole i suoi cannoni e i progetti che le vostre spie hanno rubato. In guardia, fellone!»

Un gruppo di soldati sbucò, ma Diana li mise in ritirata con una raffica. Subito dopo, si diresse verso una leva, che tirò.

Gli sbuffi di vapore degli argani che aprivano il pesante portone si sentirono fin lì.
Il clangore della spada del conte che cadeva, dopo un fendente di Atena, fu il preludio al suono dei fanti d’assalto della Serenissima che invadevano Trelleborg.

«A voi la scelta, conte. Un voletto in Italia o vi consegnamo a Re Cristiano? Il rogo o una vacanza nel Castello di Novale su un’isola del Lago d’Iseo?» propose Atena.
Il conte si sedette sul trono, con aria sconfitta, che un attimo dopo si trasformò in un ghigno di rabbioso trionfo.

«Nessuna delle due!» ruggì schiacciando la testa di Thor intarsiata nel poggimani.
Getti di vapore si scaturirono dal suolo. Dalla nuvola, Hel declamò: «Un giorno ritornerò e allora assaggerete al mia vendetta!»
Il vapore si diradò. Il trono era sparito dietro la parete.

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Alla testa dei fanti della Serenissima, il condottiero Tagliaferri abbracciò Diana che raccontò la fuga di Hel dal passaggio segreto.

«Lo prenderemo, sposo mio! Prima o poi, usando la forza o l’astuzia.»
«Da qui se ne starà lontano» concluse il condottiero. Diede a un ufficiale l’ordine di liberare i contadini prigionieri. A un altro, quello di smontare i cannoni e farli caricare a bordo di un’aeronave dagli automi usati per il trucco.

«Aspettate a farli rialzare dopo il passaggio dei contadini liberati. Stanno ancora fumando. Che quei poveretti non credano a morti viventi o artifizi magici. Basta con finti miracoli e falsi dei!»
«O strumenti magici» aggiunse Atena, ricaricando le molle del liuto automatico. «Ne io né Dian… pardon, Artemide sappiamo suonare. Un vero miracolo.»

«Facciamo pausa coi nomi di battaglia. Chiamami Silvana adesso, la missione è finita, Loretta.»
«Datti una mossa, che Angelo mi aspetta a bordo!»
«La moglie del capitano ha comandato, ubbidisco. E poi mi sono stancata di questo paese piatto e senza monti» rispose ridendo Silvana Artemide.

di Paolo Ninzatti

Racconto breve ambientato nell’universo del romanzo Il volo del Leone dello stesso autore, edito da Delos Digital in ebook e BMS in versione cartacea per le edicole.

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