IL FIUME E IL DESERTO – Parte ventinovesima: gli occhi di Iside

Luglio. Anno del Signore 1530

Fioravante indossava i cinque talismani. Silvana, Anna, Fiona, Luna d’Argento, Gudrun lo affiancavano. Davanti a loro, Fatima sedeva su uno scranno.

Nonostante le mani legate ai poggioli, la bocca coperta da un bavaglio e gli occhi da una benda, manteneva ancora la sua regalità, eretta, come fosse stata su un trono. Nonostante prigioniera, aveva resistito ad almeno una decina di tentativi per asportare il demone dentro di lei.

Era stato così facile farlo con Fiona, tempo addietro al Nord della Norvegia. Era purtroppo evidente che quello che infestava Iside era un’entità molto forte. O, molto probabilmente, era l’indole e il carattere maligno della donna a favorirne la presenza.

Era stato Ferruccio a proporre l’ultima possibilità, per quanto assurda. Entrarono dei valletti, ciascuno recando un grande specchio, i quali vennero piazzati, appoggiati su piedi attorno alla prigioniera, formando un semicerchio.

Fu Loretta a togliere la benda dagli occhi di Fatima, da dietro, per evitare il contatto con quegli occhi pericolosi, più pericolosi di canne d’archibugio.

***

Luce. Fatima non capiva. A ogni patetico tentativo di asportare Iside dal suo corpo, quei maledetti non avevano osato toglierle la benda.

Bene, probabilmente volevano sperimentare chissà che cosa. Mentre dopo il primo abbaglio metteva a fuoco le cose, la regina si accinse a sfoderare il potere.

Stolti: i talismani che il demone in lei captava erano un’arma a doppio taglio. Avrebbero aumentato il suo potere e anche i sensitivi più abili, al primo suo sguardo sarebbero rimasti incantati e divenuti schiavi della sua volontà. Li avrebbe dominati uno per uno.

Il dubbio la prese non appena pensò che non le sarebbe stato possibile formulare le litanie. Ma le sarebbe bastato renderli fantocci impotenti il tempo necessario per tentare di togliersi il bavaglio. Se solo ci fosse riuscita. Ma non appena mise a fuoco ciò che le si trovava davanti, quel problema passò in secondo piano.

Anziché i suoi nemici, vide sette immagini di se stessa, riflesse da altrettanti specchi. Dovunque lei voltasse la testa vedeva soltanto occhi neri. I suoi. Chiuse gli occhi, ma due paia di mani, da dietro le aprirono le palpebre, impedendole di richiuderle.

Nelle immagini riflesse di due donne bendate che la costringevano a guardare riconobbe quella coi capelli castani e l’altra, più giovane, sua figlia con la chioma rossa. Le due la costringevano anche a voltare la testa da destra a sinistra. Il suo potere ipnotico moltiplicato per sette, numero magico, la colpì. Realizzò che soltanto una persona poteva impadronirsi della sua volontà: lei stessa.

La voce di un uomo che lei non vedeva, proveniente dall’altra parte della serie di specchi, intonò una litania in una lingua antica. A ogni parola la sua volontà veniva meno. L’ombra di Iside, dentro di lei resisteva, come l’aveva fatto ogni volta che avevano tentato di cacciarlo.

Ma chi stava soffrendo e in procinto di abbandonarla era qualcosa di meno potente, ma, che era stata capace di dirigere la sua vita fin dall’infanzia: la parte cattiva di lei, un insieme di forme pensiero negative fatte di invidia e gelosia nei confronti di Basma, mista alla sete di potere. Visualizzò l’immagine negativa di se stessa volare via e abbandonare il corpo. Fu allora che anche l’Ombra di Iside fece lo stesso.

Uno strano senso di benessere e liberazione seguì l’immane dolore spirituale. E l’orgoglio di essere stata lei stessa a esorcizzarsi. Con l’aiuto degli altri sensitivi, verso i quali, ora non provava più alcun odio.

***

Fioravante captò la fuga prima delle forme pensiero negative di Fatima che fino ad allora avevano impedito di cacciare il demone. Ora, sentiva, la donna era libera, come lo era stata Fiona in Norvegia. La Luce aveva trionfato ancora una volta. Fece segno alle altre di non temere più quegli occhi. Fu lui stesso a toglierle il bavaglio, sicuro ormai che lei non avrebbe pronunciato litanie.

L’espressione dolce gli ricordò quella di Basma. Le prime parole che la sua bocca liberata pronunciarono fu una semplice domanda.

«Che lingua era?»

«Celtico antico, la lingua dei druidi. La Luce sia con te.»

***

Malik sembrò svegliarsi da un lungo sonno. Ricordò di aver sognato due occhi neri come perle, ma poi, man mano che si stava svegliando, il sogno andò sfocando. Ne fu contento, perché il sogno era in realtà un incubo dove lui aveva tradito la Serenissima, attirando in una trappola la sua superiore, Loretta Santus, nome di codice Atena oltre ai suoi colleghi.

Dove si trovava? Cercò di mettere a fuoco gli ultimi ricordi che lo riportavano un attimo prima, o un giorno prima, o forse chissà quanto tempo, assieme ad Ahmed e Aziz, arrestati dalla regina d’Egitto, dagli occhi neri, l’ultima cosa che aveva visto prima di addormentarsi. Quanto aveva dormito?

***

Un attimo prima Aziz stava provando la sensazione d’orgoglio di servire qualcosa di grande. Nel giro di un attimo i vaghi ricordi di aver contribuito alla conquista dell’Egitto da parte di Iside sfocarono. Come si chiamava il condottiero ottomano che aveva ingannato? Mustafà? Forse, ma la cosa non importava, perché si rese conto che gli ottomani erano suoi alleati, alleati dell’Italia.

Ma certo, si disse, aveva sognato tutto. Anche quegli occhi neri. Ma certo, ricordò, gli sgherri della falsa regina l’avevano arrestato e lui e gli altri dovevano essere stati drogati. E ora, di sicuro, l’effetto della pozione doveva essere terminato e lui non era in catene. Dove si trovava? Al momento non importava. Dovunque fosse era suo dovere contattare Malik e Ahmed e informare i servizi segreti italiani e turchi delle mosse dell’usurpatrice e dei suoi alleati.

***

Non appena le truppe francesi, svizzere e tedesche furono alloggiate nei loro quartieri, Francesco I chiese di essere ricevuto dalla regina d’Egitto. Non appena i beduini si inchinarono al suo passaggio, il Re Imperatore diede ordine alle sue guardie del corpo di attendere fuori, prima di varcare la porta.

Non appena negli alloggi di Basma, il re si sentì come un novello Cesare o Marco Antonio al cospetto di Cleopatra. Si tolse l’elmo come avrebbe fatto uno dei due grandi romani lo tenne sul braccio. L’ultima volta che si era trovato, per la prima volta, solo con Basma, lei vestiva abiti da soldato, ma ora addobbata regalmente si mostrava veramente un discendente di Nefertiti o della mitica regina amante di due grandi di Roma.

Il Re era incantato da quel paio di meravigliosi occhi neri, che lo fissavano, palesando chiaramente che lei ricambiava i suoi sentimenti. La conferma venne subito, in italiano.

«Maestà. Domani ci troveremo fianco a fianco in guerra. Il rischio di morire incombe. Potremmo essere colpiti da proiettili, ma sappiate, sono già stata bersaglio di un dardo: Cupido ha fatto centro pochi giorni fa, a Parigi, quando vi vidi per la prima volta. Non fraintendete questa mia sincerità, ma vi chiedo soltanto che mi teniate compagnia per qualche attimo in più, dopo aver esposto i piani per la battaglia di domani.»

«Di doman non v’è certezza, scrisse il grande Lorenzo de’ Medici, Carpe diem, scrisse un altro grande poeta latino Orazio. Maestà, vi chiedo umilmente, anzi vi supplico, che oltre alle nostre spade, anche in nostri cuori si uniscano. E se il Fato ha deciso che dobbiamo morire, orbene che accada assieme a voi, e che il ricordo di questa notte faccia eco per l’eternità.»

Non aggiunse altro. Si inchinò, le prese la mano e con dolcezza la baciò.

«Lucrezia Borgia e Salai sono convinti che io sia sotto l’influsso del potere di vostra sorella. In verità, anche se non mi avete soggiogato con il vostro sguardo, sono ormai in un certo modo divenuto schiavo dei vostri meravigliosi occhi, che mi hanno incantato fin dal primo momento che vi ho veduta.»

Tacque. Le parole erano un sussurro per evitare che le guardie sentissero. Basma avrebbe voluto che il Re fosse stato nella possibilità di urlare quella dichiarazione d’amore. Soffrì per non poter anch’essa urlare la sua passione. Si inchinò davanti a lui. Gli prese la mano e gli bisbigliò nell’orecchio.

«Francesco, domani dobbiamo assolutamente trionfare. E se la vittoria ci arriderà che il nostro amore confermi che la Luce è e deve essere sempre più forte dell’Ombra.»

Il Re rispose.

«Le mie truppe sono ai loro posti. Quelle di Andrea Doria, nascoste nelle stive colpiranno di sorpresa. Siamo pronti alla guerra. E ora prepariamoci all’amore.»

Tacque e la baciò.

CONTINUA…

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di Paolo Ninzatti

Racconto breve ambientato nell’universo del romanzo “Le ali del serpente” dello stesso autore.

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