Il mostro del bosco -2 di 2

Arrivare ai limiti del bosco fu facile. Era una campagna fatta di avvallamenti continui, prati verdi ovunque e di tanto in tanto file di cipressi, di alberi da frutto.  La strada era buona e deserta, non c’era il solito traffico caotico al quale lei era abituata a Roma; fra le bighe dei soldai, i carri dei contadini che venivano in città per vendere le mercanzie al mercato, le carrozze dei nobili e delle loro mogli in giro, le strade erano diventate più pericolose di un fronte di guerra. Giunsero quando il sole era ancora alto nel cielo, il fresco e l’ombra degli alberi del bosco sembravano invitare i passanti a entrare dentro per godere di quella frescura.

Apuleia seguita dalle tre tremanti ancelle si diresse con passo deciso verso un sentiero che s’inoltrava all’interno. Prima di avventurarsi ebbe un attimo di indecisione, si fermò e diede ordini perentori di assicurarsi che i cavalli fossero legati bene, non voleva certo tornare a piedi a casa. Dopo aver percorso un buon tratto di sentiero inciampò in un sasso e ruppe le calzature che non erano proprio adatte per camminare fra le pietre. Non si perse d’animo, ordinò a una delle ancelle di darle le sue, lei poteva benissimo camminare a piedi nudi. 

Il cammino per fortuna non fu troppo, le quattro donne arrivarono su una specie di pianoro, un altopiano dove al centro c’erano delle vasche scavate nella terra, ognuna era piena d’acqua che emanava dei vapori caldi, ma la superficie dell’acqua era coperta da uno strato di vegetali marci che emanavano un pessimo odore.  

La matrona si avvicinò fino al margine di una di queste buche e con un ramo scostò quanto fu possibile la melma putrida della superficie, sotto vide un’acqua appena torbida che aveva un aspetto lattiginoso ma pulito. L’odore dell’acqua, una volta eliminata la parte erbosa marcia, era leggermente solforoso.

Era ancora indecisa se toccare con le mani l’acqua, quando nella foresta echeggiò l’eco di una sonora risata. Il suono era amplificato dal continuo rimbalzare da un albero all’altro e non si riusciva a definire la direzione. Spaventate le ancelle si raggrupparono ai piedi dalla padrona che anche lei impressionata si guardava in giro per rendersi conto di cosa poteva essere quel suono così sinistro. Dopo pochi istanti quel suono tornò a farsi sentire, era chiaramente una risata, cupa e cavernosa, ma con un volume molto alto: chi rideva doveva essere o un gigante o una divinità che voleva divertirsi alle loro spalle.

 Le ancelle tremavano dalla paura e parlavano dell’essere mostruoso del quale narrava la leggenda. Apuleia per quanto coraggiosa, di fronte a un evento strano ma che non presentava nemici reali, era rimasta immobile. Cosa fare? Tornare indietro, restare ferme, o proseguire facendo finta di niente?

La loro meta del resto era stata raggiunta le vasche termali erano lì, certo erano sporche perché abbandonate, ma era sicura che con un minimo di manutenzione il marito le avrebbe riattivate in poco tempo.

“Bene, allora visto che abbiamo trovato le vasche e constatato le condizioni nelle quali versano direi che possiamo andare per il momento, torneremo con molti uomini e faremo pulire queste vasche. Parlerò con il pretore mio marito per fare in modo che i nostri ingegneri possano ricavare, da quest’acqua che promette bene, qualcosa di più decente. Forza, rimettetevi in piedi e smettetela di tremare, si torna a casa, due di voi davanti e io e Rufia dietro”.

Non avevano fatto nemmeno due passi che la risata si fece sentire e questa volta seguita da una voce che pareva arrivare dall’alto dalle cime degli alberi”

“Ah ah ah ah! Non così in fretta fanciulle, dove credete di andare, sapete che qui non dovete venire. Questo è il mio regno. Se venite è a vostro rischio, ora qualcuno deve pagare il pedaggio, non è educato mater romana portare uomini nel mio regno, ho sentito le tue intenzioni, non va bene così.”

Apuleia punta sul vivo si mise al centro del sentiero con le mani sui fianchi pronta a battagliare con la voce misteriosa.

“Come osi rivolgerti in questi termini a una patrizia romana, sei un vigliacco, esci dall’ombra dove ti nascondi e vieni avanti! Non avrai paura di qualche donna, tu che ti dai tante arie! Poi, se vogliamo dirla, tu chi sei che ti prendi il diritto di dichiarare questa terra come la tua, sai o dovresti sapere che, tutto quello che esiste da qui a Roma appartiene al popolo romano, noi e solo noi siamo i padroni di tutto, te compreso”.

“Questa poi la vorrei proprio vedere voi siete i padroni di me, – risuonò ancora una risata terrificante”.

“Solo perché avete avuto la meglio su questi pochi e docili montanari credete di essere degli Dei, siete solo dei piccoli omuncoli che posso spazzare via senza nemmeno agitarmi tanto, basta un soffio e di voi resterebbe solo il ricordo, stupida donnicciola romana. Parli di farmi vedere, e quando mai gli Dei si fanno vedere al comando degli uomini”.

A quel punto anche Apuleia cominciò a dubitare di farla franca, se quello era un vero Dio non poteva certo opporsi era inutile fare la voce grossa con loro. Doveva cambiare tattica, altrimenti la cosa poteva finire male.

“Sentiamo allora chi saresti, il tonante Giove, il divino Apollo? Non credo che gli Dei si comportino così. Palesati a me figura celeste, se sei davvero un Dio non ho difficoltà a inchinarmi al tuo volere, ma se non lo sei faresti bene a preoccuparti, sappi che le donne romane non sono da meno degli uomini, non hanno paura di voci nascoste e presunti dei”.

“Per favore padrona non lo stuzzichi, può essere pericoloso, abbiamo avuto già troppi morti misteriose in questo bosco, non vogliamo che vi accada qualcosa di brutto”.

“Tranquille donne, se voleva farci del male lo avrebbe già fatto, è chiaro che vuole solo impaurirci, siamo in quattro e non se la sente di affrontarci tutte insieme. Ho capito che è tutta una manovra per approfittare di donne impaurite. Ora vedrete che succede, voi non vi allontanate, restate unite vicino a me, nel caso gli daremo una bella lezione”.

“Allora grande Dio, ancora non ti sei fatto vedere, che succede, non sei presentabile? Sei rimasto senza la toga e hai vergogna do farti vedere? Fanfarone che non sei altro, come vedi basta una donna romana per tacitarti”.

“Donna, – rispose la voce misteriosa – non stuzzicare, non ho voglia di farmi vedere tutto qui, piuttosto perché non mandi a casa le ancelle, non vorrei s’impressionassero per quello che ho intenzione di fare con te, non sono mai giaciuto con una come te, solo queste stupide ragazzette, credo che ci divertiremo io e te nobile romana”.

La risata risuonò ancora, ma questa volta ci fu un intervallo che interruppe il rimbombo e il suono si attutì notevolmente, diventando una normale risata di un essere umano, Apuleia fu lesta a capire da dove proveniva e si diresse subito verso il punto che aveva individuato. Arrivò in piccolo spazio aperto privo di vegetazione, solo alberi intorno come a delimitare una piazza.

Uno degli alberi aveva un grosso buco, era un albero cavo e fece in tempo a notare un movimento al suo interno. Per nulla spaventata si gettò con forza a prendere con le mani chi c’era dentro. Ne uscì un piccolo satiro, era alto la metà di lei, con un paio di corna e i piedi da capra. L’unica cosa vistosa che aveva era un enorme fallo rigido, era eccitato, evidentemente dalle parole che aveva detto prima il pensiero di poter mettere le mani su una donna romana dotata per altro di notevole bellezza lo aveva fatto eccitare e i satiri sono famosi proprio per le dimensioni del loro organo. Cercava di divincolarsi dalla resa della donna, ma lei era forte e lo teneva per le corna.

“Domitilla, vai nel carro e cerca sotto il cuscino dove siedo io ci deve essere il gladio che porto sempre con me. Vediamo se adesso quello che voleva spazzare noi umani cosa dice quando gli avrò tagliato quest’affare mostruoso, questo si che dovrebbe far paura donne, non questo incrocio di capra e uomo”.

“Per gli Dei dell’Olimpo donna non vorrai fare quello che hai detto, non è giusto, ti prego, sì ammetto mi sono divertito con voi ma alla fine non vi ho fatto nessun male, stavamo scherzando”.

“Taci essere repellente e puzzolente, con tutta questa acqua che c’è qua, non sei capace di fare un bagno, caprone! Allora arriva sto gladio?”

“Eccolo padrona, ma è necessario fare questa cosa, uccidere anche uno come quello poi ci si pente, non lo faccia padrona, aspettiamo che arrivi il pretore, deciderà lui!”

“E secondo te come fa a sapere dove sono, siamo partite ma non ho potuto avvisarlo”

“Io si però padrona, ho parlato con il liberto Cicurino di avvisare il padrone appena possibile e dirgli dove eravamo andate. Sapete questo posto non era sicuro e io ho pensato di tutelare voi da possibili cattivi incontri. Avevo troppa paura e poi sapevo che c’era Qualcosa di misterioso, le sparizioni di tante amiche non era cosa da poco”.

“Brava Domitilla, hai dimostrato intuito e ti sei comportata da saggia, al contrario di me che mi sono buttata in questa avventura senza pensare. Comunque questo essere deve pagare il male che ha fatto, troveremo un modo”

“Grazie mater, per le ragazze scomparse non vi preoccupate, sono sane e salve, non ho ucciso nessuno io. Il Dio Pan insieme con il dio Bacco mi avevano incaricato di procurare per loro delle baccanti. Per creare un po’ di timore e non far venire nessuno in queste zone, avevo ideato questa specie di leggenda”.

“Più avanti, oltre le vasche si sono delle caverne dove i due Dei quando vengono vogliono restare in pace e dedicarsi ai loro baccanali con le ragazze”.

“Ora che sono stato scoperto credo che dovremo cambiare zona, qui non è più possibile. Lasciatemi andare prima che arrivi il pretore lui di certo mi condannerà a morte, ma io non c’entro, sono anche io uno schiavo di quei due”.

“Adesso ti metti paura, mostriciattolo, una lezione la meriteresti, ma non voglio sporcarmi le mani e del resto anche se ti uccidono, non cambierebbe molto. Qui sarà sempre un posto proibito, forse hai ragione tu, convinci gli Dei fannulloni a cambiare sito, lasciate le vasche a noi come prima, abbiamo bisogno di avere questa risorsa per la popolazione. Non certo per i vostri lascivi giochi erotici, e visto che ci sei potresti ammainare questa specie di giavellotto che hai fra le gambe, non è uno spettacolo decoroso per una signora”.

“Ci proverò romana, ma sai che per noi è difficile resistere a certi richiami. Se vuoi lasciarmi ti giuro che non farò nulla, né scapperò. Se magari mi tengono le tue ancelle loro non ispirano pensieri proibiti sono stupide galline senza cervello”.

“D’accordo, non mi piace sapere che sono un oggetto da far insorgere desideri osceni. Domitilla e Galeria prendete le redini dei cavalli del carro e cerchiamo di legare questo tizio a un albero, facciamo in modo che si possa muovere ma non fuggire, dopo allontanatevi da lui, questi sgorbi esercitano sulle ragazze un potere ipnotico, hanno modi suadenti e gentili solo per poi approfittare di loro. Avete visto cosa usano per ammaliare le donne, sono poche quelle che riescono a resistere e non vorrei trovarmi con le ancelle rovinate, squartate in due”.

“Con non poca fatica riuscirono nell’intento giusto in tempo per sentire dalla parte inferiore del bosco il passo di molti uomini. Era il pretore Albinus che arrivava seguito da un pugno di uomini armati”.

“Ave Apuleia, finalmente ti trovo, certo che ti sei spinta ben oltre il giardino di casa, cosa ci fai in questo posto ostile, È lontano e disagevole arrivarci, perché sei venuto quassù donna?”

“Ave a te, marito, se vuoi fermarti un attimo ti spiego, guardati intorno, e dimmi cosa vedi guarda bene e rifletti”

“Per il momento donna, vedo solo un satiro legato a un albero, sei stata tu immagino, sei sempre la solita non ti ferma nessuno. Posso sapere il perché?”

“Poi vedo delle pozze d’acqua putrefatta e che odore di zolfo, cosa sono le porte dell’Ade”.

“No, marito, sono la nostra salvezza, queste vasche sono piene di acqua calda termale, capisci cosa vuol dire questo?  Un incremento delle entrate per le casse dell’erario, una occasione per dimostrare quanto vali e uno svago per me”.

“Per le saette di Giove, donna, hai un vero talento per complicare le cose. Ti aspetti che metta sottosopra questa montagna solo per farti fare le tue abluzioni?”

“Albinus! – esclamò irritata Apuleia – sei uno stolto figlio di cane, non scherzare, hai capito benissimo il potenziale di queste acque, ora sembrano messe male ma con i nostri ingegneri sono sicura che faremo un ottimo lavoro. Inoltre, per rispondere anche alla tua prima domanda, il satiro che vedi là si era impadronito della zona per conto degli Dei, sia Bacco e Pan si erano accasati su questi monti, io li ho fatti sloggiare, ora possiamo procedere, nessuno ci darà fastidio, dico bene mostriciattolo dal lungo pene?”

“Certo padrona, ormai questo posto è stato profanato e gli Dei non gradiscono. Andremo in un altro posto, il mondo è tanto grande! Che ne dite, mater volete liberarmi adesso? Ancora no, aspetta, lo dico io quando. Aspetto la risposta del pretore che ancora non è convinto”.

“Mia cara moglie, sai bene che finisco con il fare sempre quello che vuoi, credo di non avere molta scelta, ti dirò che anche a me non dispiace l’idea di avere delle terme naturali sul posto. Meglio di quelle che abbiamo in città, che sono artificiali. Parlerò con gli artigiani del posto e sotto la nostra guida sono sicuro che verrà un complesso che sarà apprezzato anche nella capitale. Ora però è ora di tornare a casa il cielo si scurisce e non voglio affrontare la discesa con il buio. Libera quel disgraziato e andiamo, se vuoi ottenere il favore degli Dei non li devi contraddire. Il satiro ha capito e si comporterà di conseguenza, giusto?”

“Si Pretore, chiaro come la luce del sole, non sentirete più parlare di noi. Voi volete la pace e il piacere delle acque, noi vogliamo la serenità e lo spazio per divertirci, ognuno lontano dall’altro. Credo che si possa fare, ora se permettete io vado, i miei padroni saranno in pensiero per me e vista la notizia che devo riferire si adireranno ancora di più. Addio bella padrona peccato di non aver potuto fare un altro tipo di conoscenza, sarà per un’altra volta”.

“Vattene di corsa piccolo sgorbio, prima che ci ripensi, ancora non ho smaltito la rabbia per lo scherzo che mi stavi facendo e le parole che hai detto”.

Il satiro appena libero sgambettando sulle gambe da capra si allontanò ridendo. La loro indole era tutta dedita al gioco, al divertimento e alle donne. Non aveva particolari motivi di avercela con quegli umani. Aveva giocato con loro e anche loro tutto sommato non avevano fatto altro. Perdere quel posto umido e pieno di acqua puzzolente in fin dei conti non era una grande rinuncia.

La storia che aveva inventato sulle direttive avute da Bacco e Pan, ovvio che non era vera. Era lui soltanto che aveva trovato il modo di approfittare di giovani fanciulle impaurite. Finché era andata bene si era dato da fare, ora poteva essere una buona cosa cambiare aria, tanto là non veniva più nessuno e si stava annoiando.

Scomparso nel folto del bosco il satiro Apuleia fece avvicinare il marito a un delle vasche, scostando le erbe sulla superficie videro l’acqua torbida di un colore cinereo, lei immerse le braccia fin che poteva, restò così per un po’, poi ritirò le braccia e si fece detergere dalle ancelle. Osservò la pelle e la vide liscia e delicata, le proprietà naturali erano benefiche con quella percentuale di zolfo che conteneva era un toccasana per la pelle.

“Hai visto, marito mio la bontà di queste acque, non è un semplice acqua di fonte, alle nostre terme dopo le abluzioni dovevo mettere sempre degli unguenti, degli oli per ammorbidire la pelle maltrattata da tutti quei passaggi nelle acque. Da tiepida a calda, a fredda e tutto il resto qui basta una immersione e basta”.

“Ho capito moglie, ora basta, smettila di parlare di questo ne ho fin sopra i capelli, io ho anche altre cose a cui pensare. Sono un pretore e devo occuparmi di cose serie. Ti manderò dei tecnici che si metteranno a tua disposizione così te ne occuperai personalmente. Adesso andiamo a casa, il girono sta per finire così come è finita anche la leggenda del mostro del bosco”.

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di Lorenzo Barbieri

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